La signora di Ellis Island by Mimmo Gangemi

La signora di Ellis Island by Mimmo Gangemi

autore:Mimmo Gangemi [Gangemi, Mimmo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788858404355
Google: k82nXCtD5OEC
Amazon: B005VOE6EG
editore: Giulio Einaudi Editore
pubblicato: 2011-02-08T08:58:40+00:00


Il 9 marzo l'artiglieria italiana cominciò un fitto bombardamento. Le cannonate squarciavano la notte con strisce di cometa e tuonavano un boato e un fischio lacerante che si consumavano addosso alle trincee nemiche e sulla striscia di mezzo. Una catena di fuoco. Sollevava detriti e terra che ricadevano al suolo come ceneri di un vulcano. La polvere si mescolava al fumo e ai banchi di nebbia, oscurando ancor più il cielo e facendo intravedere appena il bagliore delle granate. Diventò una miscela talmente densa e impenetrabile che si dovette sospendere il cannoneggiamento per rendersi conto dei risultati ottenuti. Si sprigionavano fiamme, schegge schizzavano in ogni direzione, le intricate matasse di filo spinato saltavano per aria creando varchi all'avanzata, che si aggiungevano a quelli già aperti con le cesoie dai guastatori, usciti strisciando carponi prima che cominciasse il fuoco dell'artiglieria. Era il preludio all'attacco. Durò ore. Cessò all'alba.

Il silenzio che seguì fu assordante. Cadevano lenti batuffoli di neve.

Con in mano il 91 innestato di baionetta, i soldati attendevano l'ordine di avanzare. Si attaccavano per gli ultimi sorsi di coraggio alla bottiglia di grappa. Alcuni erano visibilmente ubriachi. E ora ardimentosi. Arrivarono infine il grido «Avanti Savoia» e i fischi degli ufficiali. I colpi di sbarramento troncarono i passi, soldati ricaddero inermi dentro la trincea, altri si spensero sul bordo. Sospinti avanti dalle urla d'incitamento e dalla grappa, corsero sulla neve fangosa, in mezzo alle buche scavate dalle bombe, s'insinuarono tra i grovigli di filo spinato, mentre solitari e nudi tralci di vite raccontavano un mondo che era stato operoso e tranquillo. Per Giuseppe era la prima vera battaglia. Non pensava. Avanzava correndo, in una sorta di rassegnazione soccorsa dall'alcol e dalla fede. Purché finisse presto, se doveva finire. Intorno, tanti compagni crollavano con un lamento, un'imprecazione. Giuseppe si meravigliava di essere ancora in piedi e che la trincea nemica, che sputava fuoco, fosse sempre più alla portata.

Sentiva il ronzio dei proiettili che gli passavano vicino e s'abbattevano con un tonfo su un ostacolo, un soldato. E sempre gemiti, rantoli di morte, grida di battaglia, gli incitamenti degli ufficiali, quei maledetti Savoia che li volevano avanti mentre loro stavano al caldo e al riparo. Furono centrati dalle mitragliatrici. Che spianarono il terreno, e gli uomini. Cadevano da ogni dove, s'intricavano nei fili spinati e sui cavalli di Frisia, s'accasciavano, non si rialzavano più, restavano li a piangere, invocare aiuto, pregare. Giuseppe sparava a sua volta. Senza mirare. Passava sopra i corpi di morti e feriti, mentre il cielo sereno del primo mattino era oscurato da un'unica nuvola di polvere, fumo e nebbia. Aveva il solo pensiero di arrivare dove scintillavano i bagliori dei proiettili e catapultarsi contro un nemico che odiava soltanto perché sparava e uccideva a sua volta. Si accorse di uno che aveva ceduto la corsa e camminava diritto, senza fretta, senza proteggersi, rassegnato a offrirsi bersaglio e sbrigare così l'incombenza della vita e della morte. Assieme a Lustri, che gli era corso al fianco, arrivò a ridosso delle trincee



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